Personalmente non mi fiderei di un uomo col cappello che si aggira barcollando tra le vie della propria città

lunedì, gennaio 18, 2010

Capitolo 3. Bugie

“Sei sempre in aula studio ultimamente”
“ ... ”
“Va chi si fa vivo a casa. Mangi?” Disse la mia coinquilina “Dove sei stato?”
“Sono stato dove tu dovresti essere ogni santo giorno della tua vita per far si che il tuo cervello possa avere una piccola speranza di apprendere e fare di te una persona in grado di gestire la propria vita senza l’uso di un supporto costante” dissi.
Momento di imbarazzo subito interrotto: “ Perchè non studi a casa?”
Oggi finite le lezioni sono andato, costretto a calci e pugni dalla mia volontà che potremmo chiamare necessità, in una piccola aula studio vicino alla facoltà di lettere.
Arrivo e ci sono i soliti quattro. Stessa scena di sempre: la porta che sbatte alle mie spalle e io che mi dirigo nell’angolo sinistro della stanza con i piedi a spazzare il pavimento e a irritare i favolosi studiosi della nostra università italiana. Tolgo il cappotto e lo poso sulla sedia al mio fianco. Estraggo i libri e comincio a studiare. Leggo, sottolineo, riscrivo rileggo, faccio alcuni esercizi per vedere se ho capito, poi ri-leggo, sottolineo, riscrivo, rileggo e faccio alcuni esercizi per vedere se ho capito. A questo punto la sala è praticamente vuota, rimane solo lei, di spalle. Click. Zip. Frush. Crrr. Sbam. Penna nell’astuccio che mette nello zaino che chiude. Alzandosi fa raschiare la sedia e se ne esce accompagnata dal fragore del maniglione antipanico che trema alla vista di ogni studente che gli si avvicina. Come dargli torto, tutti noi quando usciamo da quel buncher dopo incessanti ore di studio premiamo con forza, come tori infuriati, quella barra rossa che ci separa dalla libertà. Almeno fino al giorno dopo.