Personalmente non mi fiderei di un uomo col cappello che si aggira barcollando tra le vie della propria città

venerdì, febbraio 01, 2013

Spoiler "La Società Dell'Inadeguato a Dio"

SPOILER CAPITOLO INTERNO DI " LA SOCIETÀ DELL'INADEGUATO A DIO" - L.O.Kop



Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi.
Certo, sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta: prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola; scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate con tutto quello che si portano dietro.
E’ il potere della pagina bianca, credo.
Ti risucchia e ti libera: è la tua possibilità di buttarti da un’altra parte.
“Allora?” 
É il mio editore. Si accendendosi una sigaretta. Una densa nuvola di fumo avvolge i nostri volti mentre i miei occhi puntano i suoi; poi le sue rughe sulla fronte. La pelle suda. Unta per la calura che in questi giorni avvolge la città. Una città che boccheggia giorno dopo giorno come un pesce. Fuor d’acqua. 
Noi stessi, cittadini del nulla cosmico aspettiamo la nostra fine sull’enorme griglia del barbecue urbano.
“Posso?”  
Indico il pacchetto di sigarette. Altra nuvola di fumo.
“Ho delle buone idee” 
Guardo alle sue spalle i raggi del sole attraversare la veneziane semichiuse fendere la nube tabaccosa
“Anzi buonissime. Una in particolare.”
“Lo spero... . Lo spero per te. Dobbiamo uscire con un capolavoro questa volta. Ci vuole una storia che il pubblico deve comprare. Una di quelle che sei costretto a correre in libreria per averla. Ci serve un uomo; un uomo e la sua storia.” 
Come editore aveva l’obbligo morale di sollecitare con ogni mezzo i suoi scrittori, ma aveva dei limiti e questa volta sarebbe stata la sua ultima spronata. O infuriata. Aveva tutte le ragioni, le ultime pubblicazioni erano state un fallimento e la casa editrice era ridotta al lastrico. Investire sui giovani non era mai stato così deleterio. Troppe teste calde promettenti che stipulato il contratto si rilassano sugli allori pensando ormai di essere arrivati; di avercela fatta. Non che gli scrittori di vecchia data se la cavassero meglio. Il mio ultimo lavoro? Un disastro. Carta sprecata inutilmente. Deforestazione senza scusa. Si trattava di un lungo saggio sull’evoluzione dei biglietti dei treni e come questi cambiamenti fossero dettatati dall’evolversi della società. Mi era stato commissionato, ma non vale come scusa. Mi sarei potuto rifiutare, ma i soldi, quei maledetti, mi servivano. Ne avevo bisogno allora, ne ho bisogno ora.
“Allora?”
Rimango a guardarlo per alcuni istanti mentre cerco le parole per raccontare la mia idea. Queste si bloccavano in gola e grattano e pungono e supplicano di non uscire.
“Allora quest’idea?”
Invento. É un modo gentile per non dire “mento”; come quelle parole sul genere “diversamente abile”, “non vedente”, “non molto sveglio” e “non molto giovane” che è in assoluto la mia preferita.
“Potrei avere una storia vera. É un assassino; pluriomicida. Non l’hanno mai preso e ora vuole confessarsi.”
“Con te?”  
La balla non sembra essere andata a segno.
“Sì. Con me.”
“Con te...” Farfuglia alcune parole a bassa voce in una sorta di colloquio con il suo spirito guida interiore. Un ubriacone molesto e pervertito. L’ultimo a cui chiedere consigli commerciali. 
Dopo un’ultima boccata alla sigaretta mi guarda senza accennar parola. Mi fissa e senza togliermi lo sguardo di dosso spegne con la mano destra la sigaretta nel posacenere; dalla bocca fumo e parole. 
“Senti. Ci stiamo giocando tutto. Ora io spero che tu non sia venuto qui a sparar cazzate e che quello che mi hai appena detto corrisponda a verità. Intesi?”
Annuisco.
“Per quando potresti avere la prima bozza piuttosto completa?”
“Tre mesi”
“Non un giorno di più. Ora va; e ricorda, affondo io, affondi tu.”
Cappello in testa me ne esco dall’ufficio. Che gran bel casino. E ora?
Accendo una sigaretta spezzata. Le tengo sciolte nelle tasche e questo è un inconveniente piuttosto comune. Mi piace. Mi dà l’esatta percezione del mio essere. Sono una cicca spezzata che nessuno si fila, ma che prima o poi trova chi se la fuma.
Sono in strada con la testa zeppa di punti interrogativi senza risposta; vago senza meta alla ricerca di una soluzione. Non ho quella dannata storia e non l’avrei mai avuta. I canali di questa città sono secchi e sofferenti. Ho bisogno di un miracolo, ma mi trovo in quel tempo della vita in cui la fede è una scommessa sul cavallo sbagliato. Uno di quelli che ha cagato poco prima della corsa.

Lì su quel ponte sopra al canale l’umidità si fa sentire e il sole gioca a fare il tiranno: cinghia la testa e le spalle; frustate secche e decise. Brucia. Sento la pelle lacerarsi a ogni colpo. Decido di muovermi verso il centro per sedere in un bar a cercare la risposta sul fondo di un bicchiere
. Faccio così, questo è il mio modo per trovare una soluzione, e il più delle volte funziona. 
Cammino sotto i portici dove l’aria era più fresca senza fermarmi al primo bar; sono alla ricerca di un locale isolato, fuori dal caos, dove la gente non si gusta insalate fresche con tonno e frutta fresca o gelati o succhi di frutta. Cerco la bettola buia con l’ubriaco di turno e il barista dallo sguardo critico e sospettoso con i nuovi avventori. Una tana per reietti, per gli scarti della società, per le persone disperate che vogliono farla finita e dimenticare tutto, dove non si giudica nessuno perchè nulla ti importa di te, figuriamoci degli altri. In quei posti si mostra la seconda faccia della vita. Niente prime donne o uomini forti, niente speranze per il futuro. Esiste l’oggi. E non lo si vorrebbe.
So dove trovarli anche se non conosco la città. Ogni centro urbano per piccolo che sia nasconde locali per dimenticati da Dio. Li trovo a istinto.
Dieci minuti. É come me lo ero immaginato. Legno scuro sia per il pavimento che per il bancone, poche vetrate e piene di polvere che non fanno entrare abbastanza luce. Poche persone con bicchieri vuoti siedono ai tavolini, soli e ai margini del locale. Quando entro il barista mi guarda con aria seria, giudice della mia vita. Sono degno di questo posto?
Lo guardo compiacendomi della scelta del locale. Lui indossa una camicia bianca abbottonata fino al collo dove trova posto un nero papillon. Un gilet grigio fumo di Londra e dal taschino fuoriesce la catenina di un orologio da taschino; suppongo. Ha i capelli nero corvino con qualche pelucchio bianco che noto avvicinandomi al bancone. Baffi folti, come le sopracciglia. É intento a asciugare l’interno di un bicchiere.
Mi siedo al tavolo all’angolo, da solo. E penso. 
Lui mi raggiunge.
“Desidera?”
“Soluzioni” 
“Ne abbiamo per tutti i gusti”
“Rossa”
“Quanto profondo è il problema?”
“Irrisolvibile”
“Cinque litri per il nuovo arrivato”
Scoppia in un fragorosa risata. I commensali accennano un riso sentito sotto le palpebre calanti per l’eccessivo bere. Si volta e mi sbraita una cosa del tipo
“Non credere che qui ci siano soluzioni efficaci. Proponiamo progetti da verificare. Al massimo siamo arrivati a tentativi quasi soddisfacenti, ma i più finiscono col muso nella latrina!”
Ancora una fragorosa risata.

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2 commenti:

  1. Entro per la prima volta nel tuo blog e leggo questo... un bell'inizio di letture interessanti, ne sono certa.

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    1. Mille grazie! Spero di non deludere!

      Buona lettura!

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