Personalmente non mi fiderei di un uomo col cappello che si aggira barcollando tra le vie della propria città

domenica, novembre 21, 2010

18 Novembre

Il mio calendario mente.
Facile per lui, lì, appeso alla parete, con la sola fatica di indicare, e nemmeno a voce, in quale giorno della vita poggio piede. 18 novembre. Mi sorride con quell’aria saccente che solo un calendario può avere, sicuro di non sbagliare mai. Quanta arroganza e sprezzo della condizione umana. 
“Siamo uomini! - ... - “Noi siamo uomini” Ogni tanto glielo grido. Lui, imperterrito e inamovibile, nemmeno si degna di fare spallucce. Non si abbassa a tanto. Guarda dritto davanti a sé con la sicurezza e la fermezza che solo il tempo gli può dare. Per ora.
Io, però, so. Sono a conoscenza della vecchiaia del tempo, del suo veloce e inarrestabile moto. Sono destinato a sopravvivere al mio calendario. 
Ancora un mese e qualche settimana, poi morirà. Io no, forse. 

Eppure a lui sembra non dispiacere e non lo preoccupa essere sempre più vicino a quella che sarà la sua fine, non lo preoccupa cessare di essere quello che è, non lo preoccupa perchè lui sa di essere. Lui ha un compito preciso. Lui ha il suo spazio di mondo e in questo spazio sa come muoversi.
Noi siamo uomini. Abbiamo la vastità senza confini davanti ai nostri occhi e non riusciamo a vederla, e a viverla, come dovremmo. Sempre in bilico, sempre frastornati, sull’orlo di un burrone, ubriachi di sapere e di ignoranza. Siamo inquieti. 
Provate a dire a un calendario che oggi non è il giorno che loro indicano, provate. Io l’ho fatto, cazzo se l’ho fatto. Ero così sicuro di aver trovato un modo per deporlo dal suo trono, quel saccente ammasso di cellulosa temporizzato, che non stavo più nella pelle. I nervi erano tesi e il mio corpo era pervaso da fremiti continui come un cane in attesa del lancio del bastone. Io cane e padrone. Stavo per lanciare,..., lancio. Che sensazione fantastica! Via di corsa, lo devo prendere, lo devo prendere, Oggi non è il 18 novembre!
Lancio lungo, il bastone cade in acqua, l’acqua di un torrentello che se lo porta via, per sempre. 
Non lo avevo scalfito, non una mossa, un movimento, non una piccolissima impercettibile ruga che avrebbe potuto tradirlo. Nulla. Oggi è il 18 novembre.
Mi vesto alla bene e meglio: un maglione, un paio di scarpe, brache, ovvio. Indosso il cappotto e avvolgo il collo in una calda, sgualcita e maleodorante sciarpa. 
Mesto mi dirigo alla porta. 
Io non so se le vostre porte si comportano alla stessa maniera, ma la mia, tutte le volte che esco o che rientro, mi fissa. Massiccia, imponente e ciclopica fa saettare il suo sguardo nel mio mettendomi in soggezione. Controllo le tasche e verifico di avere tutto: chiavi cellulare e soldi. Ciclope...
Torno a prendere il tabacco. 
Esco a testa china, non sopporterei un ulteriore faccia a faccia con l’usciere ligneo e mi tuffo nel freddo pungente della città. Mani nelle tasche, bacino in avanti, schiena gobba e capo chino. Un mostro, solitario, eremitico e deplorevole che barcolla per le vie della propria città. 
La bassa temperatura mi tonifica e rinvigorisco. Alzo la testa, ma la insacco tra le spalle immergendola nell’avvolgente sciarpa. La lana sul collo rasato prude un po’, ma è sopportabile, se non addirittura piacevole.
Avanzo tra le vie contorte e tristi, forse non sono loro, forse è la giornata uggiosa, forse sono io che riverso su di loro il mio stato d’animo.
Sento delle voci e girato l’angolo ho li occhi inondati di colori e folate di profumi si insinuano nelle narici. Il mercato. 
C’è forse più luce?
Nuoto tra le ondate di persone e mi oriento con le urla dei venditori. A nord “Carciofi lavati e buonissimi! I migliori!” A sud “Arance di Sicilia! Signora le uniche succose e piene di vitamina! Annusi!”. Est “ Castagne, Caldarroste” Ovest “ Asparagi! Clementine! Funghi appena colti!” Sud-Est “ Insalata gentile!” Nord-Ovest “Radicchio di prima qualità!”.
Tutti odorano le primizie e i vari prodotti e sembrano danzare a ritmo della coralità di voci burbere e spesso sgrammaticate dei venditori. I bambini sorridono e toccano tutto. Anche loro vogliono entrare a pieno diritto nel magico mondo del mercato. Tutta quella natura con i suoi sapori e colori è troppo irresistibile. Sento il mio corpo e il mio spirito gioire; sono pervaso di calore, calore umano.
Attraversato il mercato, attraversata l’isola che non c’è.
Ancora cemento e palazzi. Tristi. 
Si è fatto buio?
I bambini piangono nei loro passeggini e pregano di poter sognare ancora, ma i loro genitori sono alle prese con tecnologici telegrafi senza fili. I più giovani si rinchiudono in un mondo di musica privata. Muri di note che escludono i suoni del mondo. Tutti camminano su rotaie, a gran velocità, incuranti di tutto. Abbasso la testa, non c’è nulla da vedere. Oggi è il 18 novembre, il cielo è grigio e il mio umore ...

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