Personalmente non mi fiderei di un uomo col cappello che si aggira barcollando tra le vie della propria città

martedì, dicembre 01, 2009

Ispettore?

Mi svegliai leggero come una piuma. 
Mi sembrò di aleggiare nell’aria sospinto da correnti sinuose di sospiri angelici. C’era la pace intorno al mio corpo. Era la tranquillità che mi avvolgeva. Fu come se la mia anima si fosse staccata dal corpo. Leggero. Fluttuai tra le lenzuola candide e mentre volavo inspirai profondamente l’aria fresca delle prime ore del mattino che facendo danzare le tende vorticava nella stanza e mi rincuorava di belle sensazioni e di orgasmi sequenziali dal piacere infinito.
“Ma cosa?!” dissi mentre con la mano spostai le lenzuola che mi coccolavano. 
Piacevole fino a quando non presi coscienza di quello che con tanto stupore andai a toccare. Una sostanza densa, a tratti grumosa e viscosa. Piuttosto appiccicaticcia che incollava le dita tra di loro e queste alle lenzuola. Estrassi la mano da sotto le lenzuola, mentre il mio aleggiare fluttuoso si tramutò in angosciante stasi, fermo immobile a mezz’aria. Lo stomaco fece per chiudersi e l’ombra di un peso si posizionò sopra le mie membra. 
“Cosa diavolo...” Quando i miei occhi incrociarono le dita quello che videro non fu il rosa carnale della pelle, ma il rosso acceso del sangue umano. 



L’ombra divenne macigno, enorme e pesantissimo che dal cielo piombò su di me stritolandomi contro il materasso fino a togliermi il respiro. L’agitazione si fece sentire; il cuore salì in gola e accelerò i suoi battiti. Velocissimi. Il sangue veniva sparato nelle vene a più non posso facendo aumentare la mia temperatura corporea e provocandomi svariate e consecutive vampate di calore. 
“Da dove proviene? Di chi è?” 
Palpitante mi misi in posizione prona e guardai intorno.
“D-dove sono?”
Non era la mia stanza eppure aveva qualche cosa di familiare, ma il tremore delle braccia e delle gambe e il battito sempre più veloce non mi permettevano di ragionare con calma, impedendomi di capire dove mi trovassi. 
“Cristo santo!” Le lenzuola erano tutte inzuppate di sangue, ma di un corpo eccetto il mio non se ne vedeva traccia. 
Non poteva trattarsi del mio sangue “ O si?”. No, certo che no, altrimenti sarei già morto o quantomeno in fin di vita.
Cercai sulle braccia, sul ventre, sulle gambe e mi tastai la schiena alla ricerca di una qualche ferita che potesse spiegare tutto quel sangue, ma niente. Non avevo nessun taglio, solo sangue che sicuramente non mi apparteneva. Ma allora di chi era? 
“Di chi è questo sangue?!” gridai a squarcia gola, pentendomene subito per paura che qualcuno sentendomi tentasse di entrare nella stanza per portare soccorso e scoprirmi così, sporco di sangue altrui, senza una giustificazione plausibile.
“Forse... forse il corpo è rotolato giù dal letto” pensai. Così scostai le lenzuola e scesi dalla mia parte del letto accertandomi che da quel lato non ci fosse alcun cadavere. Indossai le ciabatte e con cautela, a rallentatore, quasi dovessi essere pronto a scappare, mi indirizzai al lato opposto del letto. Piano piano. Lentamente. Passettino dopo passettino verso l’ignoto. Stento a credere che il mio fragile cuore resse a tutta quella tensione. L’agitazione per me è sempre stata la più grossa preoccupazione fin da bambino. I miei genitori mi calavano pasticche di chissà quali ricerche sperimentali per evitare le mie crisi cardiache.
Cominciai ad ansimare quando ormai mi trovai a pochi passi dall’avere la visuale sul bordo opposto del letto. Mi fermai e feci un grosso respiro. Dovetti prepararmi al peggio.
Una frazione di secondo dopo mi si piazzò innanzi uno spettacolo raccapricciante, uno scherzo degno del peggior demonio, un abominio ai danni di una giovane creatura.
Ai piedi del letto, esanime, pallida e coperta di sangue giaceva una giovane donna senza veli. Capii subito che fu violentata, ma chi avrebbe potuto farle questo e io, dov’ero quando tutto accadde? 
Mi avvicinai trattenendo il respiro e i conati di vomito che dal mio stomaco, ormai in rivolta, premevano per uscire alla ribalta. Le ruotai il volto e le scostai i capelli. “Che visino angelico, innocente!”  Ma chi era? E soprattutto che cosa ci facevo in sua compagnia?
Cercai di ricordare cosa fosse successo la notte precedente, dove andai, chi vidi, qualsiasi cosa mi potesse tornare utile per ricostruire i fatti. Mentre pensavo, camminavo nervosamente nudo per la stanza. 
“La stanza!” 
Sarei partito dalla stanza. Notai che quella era una piccola camera ben arredata, con tutti i comfort necessari: frigobar, tavolini, scrivania, televisioncina, riscaldamento e climatizzatore. Niente cucina. Aprii una piccola porticina in legno verniciata di bianco panna. Era il bagno. Dagli asciugamani e dalle saponette firmate “Excelsior ****” ebbi la conferma  di trovarmi in una lussuosa stanza d’albergo.
Alzai lo sguardo e dalle saponette passai allo specchio. 
“Lurido essere sporco di sangue, che cosa è successo ieri sera?” Aprii il rubinetto e mi sciacquai il volto dopo di che mi squadrai per bene e optai per vestirmi.
“Forse... forse nei vestiti troverò qualche indizio, qualche scontrino che mi possa far ricordare cosa abbia fatto ieri notte”
Frugai nelle tasche e nel portafoglio, ma la sola cosa che trovai fu un piccolo biglietto da visita di un pub. Il suo nome mi suonava familiare, ma in quel momento il mal di testa, tipico del dopo sbronza mi impedì di visualizzarlo. Per lo meno ero giunto alla conclusione di aver bevuto un sacco e che qualunque cosa fosse successa avrei benissimo potuto non sentirla frastornato com’ero dai fumi dell’alcool. 
Sarei andato fino in fondo a quella storia, a costo della mia stessa vita; di questo ero sicuro. 
Tornai nella stanza e mi diressi all’armadio dal quale estrassi una di quelle coperte marroni pesanti che chissà per quale motivo si somigliano tutte in tutti i motel. La aprii e la stesi sopra il corpo.
“Povera creatura. Ti vendicherò!”
Andai verso l’uscio,infilai le scarpe, indossai l’impermeabile e il cappello, poi aprii la porta e misi in tasca le chiavi prendendole dalla mensola lì vicino. Stetti per uscire quando mi volsi verso il letto.  
Feci un bel respiro e chiusi la porta. 
Davanti ai miei occhi un lunghissimo corridoio: pavimento in legno con striscia centrale di moquette rossa. Le porte delle camere tutte giallognole e alle pareti carta da parati giallina con piccoli fiori. Ogni quattro porte un comodino e una abagiur. Percorsi il corridoio guardando ogni singola targhetta: 314, 312, 310, 308. Alla 306 venni colto da una fitta al cervello e dovetti appoggiarmi al muro scivolando pian piano fino a sedermi per terra. Rivissi alcuni istanti di quella fatale serata. Mi vidi mentre barcollando a braccetto con quella ragazza attraversammo il corridoio. Potei sentire anche i dialoghi. Lei: “ Andiamo! Bel maschione - disse con voce alcolica tra risate a casaccio- facciamolo qui. Ti prego.” Io: “ Non sai proprio resistermi dolcezza! E va bene!” La sbattei al muro facendo cadere la lampada che poggiava sul comodino lì vicino. Mi destai per qualche secondo dalla visione; quel che bastò per notare che sul comodino mancava effettivamente l’abagiur. “ Lo vuoi prendere qui puttana?” continuai mentre la girai con la faccia al muro. Poi le presi i capelli e li tirai fino a farle piegare la testa all’indietro e inarcare la schiena. 
“Ahahah -rise- ti piaccio, mi vuoi, mi brami. Quasi quasi ci ripenso. Mi piacciono gli uomini che fremono e mi piace stuzzicarli. Perchè non scendiamo al bar dell’hotel? Un whisky e poi riprendiamo.” Aveva una voce così sensuale e quel suo vestito poi. Troppo sexy. Un tubino nero con la scollatura sulla schiena che inarcata com’era permetteva all’occhio di intravedere le mutande anch’esse nere, ma di pizzo. Le arrivava poco sopra le ginocchia mettendole in risalto le curve del sedere. 
Non volli aspettare; quel corpo doveva essere mio. Lei aveva istigato il mio istinto animale. Lei sarebbe stata mia, ora.
Tirai con più forza i ricci capelli rossi e li strinsi forte con una mano.
“Ahi!” gridò. “ Mi fai male.”
Con l’altra le alzai a fatica la gonna del vestito perchè le era molto attillato e le dissi: “ Lo voglio fare adesso! Sei mia!”
Cercò di dimenarsi, ma col bacino la costringevo al muro. Quando le ebbi alzato a sufficienza il vestito con quella stessa mano mi slacciai la cintura e feci scendere la zip dei pantaloni.
“Basta! Smettila!” Disse a voce elevata. Quelle urla mi fecero perdere il controllo. Le mollai i capelli, si voltò, si sistemò il vestito e quando rialzò lo sguardo e i sui occhi lucidi incrociarono i miei le mollai un manrovescio violentissimo.
Cadde a terra tenendosi con una mano il volto proprio dove l’avevo colpita. Si mise a fissarmi, incredula con sguardo spaurito. Ricordai perfettamente i suoi occhi blu fissarmi e le sue labbra con tanto di rossetto, rosso acceso, che risaltavano particolarmente sulla sua pelle candida esprimere disprezzo. Era terrorizzata da me. Forte di coraggio si rialzò e come se niente fosse accaduto si diresse alla camera. Entrò e chiuse la porta alle sue spalle. Ricordai che stetti qualche secondo fermo in quella posizione e potetti percepire il suo occhio che dallo spioncino fissava ogni mia mossa. Mi indirizzai anch’io verso la camera e quando vi fui di fronte bussai dolcemente. 
“Perdonami. E’ il lato malvagio della carne. Non lo farò più.”
Aprì la porta e mentre entrai a capo chino vergognandomi delle mie azioni lei si diresse verso il letto.
“Sei perdonato.” disse.
Arrivata ai piedi del letto si slacciò il tubino nero che cadde delicatamente al suolo. 
Lei era lì. Perdutamente bella. Tacchi a spillo neri, calze nere, mutande di pizzo nero con reggiseno in coordinato. Era di spalle.
Portò il tallone verso il sedere, ruotò un poco la testa e slacciatosi il tacco se lo tolse. Poi si sedette e mi guardò, accavallò le gambe, slacciò e si tolse anche l’altro tacco.
Si piegò un po’ all’indietro sul letto puntellandosi con le braccia. Indossava ancora i lunghi guanti neri. Disse: “Vuoi che mi tolga tutto da sola o hai intenzione di partecipare?”
Appoggiai il cappello e l’impermeabile sull’attaccapanni subito dietro l’uscio. Slacciai i mocassini e li posi, una volta tolti, proprio sotto il cappotto.
Mi puntò il braccio contro e col dito fece segno di avvicinarmi. Quando le fui davanti disaccavallò le gambe, le aprì, mi prese per le tiracche e mi trasse a sé. Mi baciò così appassionatamente così spudoratamente e così intensamente che sentii il mio corpo trasformarsi nuovamente in bestia. Presi dalla Passione mi slacciò la camicia e i pantaloni mentre io le tolsi il reggiseno. Che candore etereo.
Fremetti. Dovevo possederla. Quella sera sarebbe stata mia. Solo mia.
Mi tolse i calzini ed io le calze.
Mi tolse i mutandoni e io le mutande.
Mi sdraiò sul letto a pancia in su e fissandomi si portò l’indice alla bocca, morse il guanto e se lo sfilò gettandolo via. Fece la stessa cosa anche con l’altro, ma prima di gettarlo lo strisciò delicatamente sul mio petto partendo dal collo poi giù pian piano fino all’inguine.
Mia. Solo mia.
La abbracciai e la baciai in continuazione: con la lingua, senza lingua, sul collo, sul seno, in fronte, sull’ombelico, dietro le orecchie, sulle guance. La baciai lì. Gemette e si bagnò tutta. Mi aiutai anche con le dita e sembrò piacerle molto. Moltissimo. Venne il suo turno e cominciò un eccellente lavoro sulla mia parte intima. Ero eccitatissimo. Dolcemente passò le sue labbra sulla cappella poi delicatamente sfiorò i miei peli pubici e giunta ai testicoli li baciò. Poi di nuovo su con la lingua a contornare la cappella, a sollecitare il prepuzio e poi. Lo mise in bocca. Tutto in un sol colpo. Si sentiva l’esperienza e un po’ mi rose perchè non fu solo mia, non fui il primo e probabilmente non sarei stato l’ultimo. Mi rattristai. Poco però. Quel lavoretto era eccezionale.
La presi e misi la sua schiena sulla mia pancia, la penetrai e la sorressi per il seno che coccolai delicatamente mentre la sua testa piegata all’indietro ansimava tra il mio capo e la spalla. Cominciai a picchiare subito forte e non disdegnò. Ruotammo su di un lato e in posizione fetale seguitammo a darci dentro. Che ansimi di piacere che riempivano l’aria; che corpo da favola che si era concesso ad un brutto ceffo come me. 
Perchè? Le feci pena al locale tutto solo mentre pensoso tracannavo del buon whisky?
Ci mettemmo a pecorina e in mille altre posizioni. Che notte. Le lenzuola andavano in mille direzioni. Ansimi, respiri passionali, grida di piacere, tutto fu perfetto. Tutto fu magico. Andammo avanti per buona parte della notte poi le venni dentro nell’istante esatto in cui lei ebbe il suo terzo orgasmo. Rimanemmo così, io dentro di lei, fino a che non ci addormentammo.
“Allora non sono stato io!” Esclamai destandomi da quel sogno ad occhi aperti e rimettendomi in piedi facendo forza sulla parete del corridoio. Percorsi l’ultimo tratto e giunto alle scale le scesi piuttosto in fretta rincuorato dalla certezza di non averle fatto del male e bramoso di vendetta contro colui che aveva spezzato quel esile rametto della sua splendida vita.
Per arrivare nella hall dovetti passare di fianco al bar e lì ebbi una nuova visione. Questa volta non caddi, ma rimasi immobile in piedi davanti al bancone.
Mi svegliò nel mezzo della notte: “ Panterone?” mi sussurrò in un orecchio. “Panterone sei sveglio?” Con la mano mi accarezzò i fianchi. Che dolce risveglio: “Si, piccola” le dissi. 
“Brindiamo a champagne?” 
“Perchè no!” esclamai e messomi le mutande infilai la vestaglia da notte dell’hotel per dirigermi al bar. Scesi e ordinai una bottiglia di champagne con due bicchieri.
Presi tutto e risalii.
Entrai, appoggiai la bottiglia e i bicchieri, mi levai la vestaglia e le mutande. Poi impugnai la bottiglia, la stappai e ne versai un po’ nelle due coppe. Inforcai i calici e li portai a letto. Lei si era messa seduta senza coprirsi con le lenzuola come molte fanno. Non aveva pudore. Era libera. Un fiore libero di farsi cullare dal vento della vita. 
Sorseggiammo e ci mettemmo a parlare coccolandoci. Le raccontai qualche cosa e poi le chiesi: “ Ci possiamo rivedere?”
Si fece cupa in viso e il suo sorriso si spense: “ Non posso”
“Cosa vuol dire che non puoi?” chiesi stupito.
“Non posso e basta.”
“Voglio sapere perchè non puoi!” gridai “ Sono forse troppo brutto per te? O troppo vecchio? Sono buono solo per una scopata quindi?”
“Non è questo...” cercò di dire con la sua voce delicata.
“Cos’è allora? Credevo che... mi era sembrato di aver fatto l’amore poco fa, o sbaglio? Con passione, o sbaglio?”
Cominciai ad ansimare. Ero agitato.
“Mi sposo”
...
“Come?” domandai esterrefatto “Cosa hai detto che fai?”
“Tra una settimana ci saranno le nozze. E’ un matrimonio combinato. Io non lo amo.”
“E allora fregatene!” le dissi, fiducioso che se il nostro era amore lei sarebbe scappata con me “ Vieni via con me! Ce ne andremo lontani. Via da questo schifo di città; lontani da tutto e da tutti! Nessuno ci troverà mai.”
“Non posso. E non voglio.” Si stette per alzare dal letto, ma la presi per un braccio tenendola stretta. Tentò di liberarsi, ma detti uno strattone e la feci ricadere sul letto proprio al mio fianco. Mi ci misi sopra e la baciai. Lei evitava i miei baci, voleva andarsene, voleva scappare, andarsene via da quella situazione. Rividi i suoi occhi pieni di paura. 
“Resta con me” le gridavo mentre la prendevo a schiaffi. Pianse.
Più forte quando si arrese alla mia mascolina forza e controvoglia la penetrai. Mi supplicò, ma più supplicava più diventai violento e spazientito. Le sue urla e i suoi piagnistei mi infastidirono. Presi un calice dal comodino lo ruppi e misi fine alle sua grida. Gli conficcai il cristallo dritto in gola. Quando esalò l’ultimo respiro anch’io ebbi finito e la gettai giù dal letto mettendomi subito a dormire senza neanche una lacrima o un rimorso.
“Sono stato io”
Preso dal panico mi guardai le mani tremanti. Corsi fuori dall’hotel, poi a destra e dopo cento metri a sinistra. Le gambe si muovevano da sole, veloci come non lo erano mai state. Eccolo là.
Là in fondo; il commissariato.
Entrai trafelato, ansimante. Dovevo confessare, dovevo liberarmi da quell’atroce peso che opprimeva la mia coscienza. 
Dal fondo della stanza si fece avanti un signore anch’egli vestito con camicia bianca a righe, bretelle e pantaloni grigio fumo di Londra.
“Ispettore! Eccola finalmente. E’ tutta la mattina che la cerco. Devo aggiornarla sul caso Croford. Ci sono piccanti novità.” mi disse facendo segno di seguirlo.
“Ispettore?”

Nessun commento:

Posta un commento